I castagni erano già conosciuti ed apprezzati dai
Greci per le sue numerose potenzialità: abbondante produzione di frutti molto nutrienti, utilizzo di legname, corteccia, foglie e fiori (farmacopea).
Gli ellenici ne svilupparono la coltivazione selezionando le varietà, per poi consumare le castagne nei modi
più diversi (pane nero di Sparta, sfarinate e minestre).
Greci, Fenici ed Ebrei commerciavano questi frutti in tutto il bacino del Mediterraneo
Iniziarono i Romani a piantare in modo intensivo i castagneti, conosciuti anche da altri popoli: ghiande di Zeus
Svetonio (70-130 d.C.) racconta che erano diffusi intorno al Mar Nero e fra gli Etruschi e soprattutto sull’appannino Meridionale.
Fra i numerosi autori romani che hanno trattato del castagno, in campo
agronomico, forestale, storico, poetico, culturale e culinario primeggiano Plinio, Columella, Palladio, Ovidio, e Tito Livio.
E il poeta Virgilio, a proposito della Sila, nelle Georgiche scriveva “Pascitur in Magna Sila formosa juvenca” … Erano luoghi assai conosciuti al tempo dei Romani …meravigliosi prati “ove mandrie di
pecore e di vacche si alimentano producendo latte per squisiti formaggi…e sempre Virgilio si soffermava anche sulle gustose castagne, caldarroste, o bollite o cucinate con latte e
formaggio.
Il castagno è uno dei frutti rappresentato nei dipinti Pompeiani, lo si trova vicino ad un uccello sulla parete sud del tablino della Casa del Moralista e fra altra frutta sulla parete a destra entrando nel vestibolo n°10 della Casa dell’ Efebo
Dopo l'anno Mille, causa l'incremento demografico, la castagna diventa una soluzione alimentare di uso comune per il popolo delle campagne. Essiccata per farne farina, serviva anche a fronteggiare le frequenti carestie. Soprattutto, era un frutto utilizzato in maniera etica. I castagneti erano spesso gestiti dalle comunità dei villaggi pedemontani. I castagneti erano oasi di democrazia, in cui non vigeva la proprietà privata.
Nel Medioevo a questo frutto venivano anche
riconosciute proprietà afrodisiache, dettate soprattutto dalla sua forma di “testicolo”. Il primo a notare la somiglianza fu Isidoro di Siviglia (VI sec.) che accostò il nome castagno a “castrare”,
dicendo che quando si estraevano dal riccio i due frutti gemelli, era come se si facesse una castrazione.
Sulle qualità afrodisiache delle castagne si rintracciano anche testimonianze successive.
Un autore arabo tardo medioevale affermava: “le castagne sono calde in primo grado e secche in secondo. Sono
assai nutrienti e provocano il coito, ma gonfiano il ventre”.
Nel Cinquecento il Mattioli segnalava: “provocano il coito essendo molto ventose… nelle montagne ove si
raccoglie poco grano, si seccano… e fassene farina la quale valentemente supplisce per farne pane”.
Nel Settecento illuminista il marrone riscosse grande favore presso le classi alte, e donare ad una signora
grosse castagne confezionate in dolcetti glassati (marrons glaces) poteva alludere a maliziosi significati.
L'albero del castagno, longevo come la quercia e l’olivo, ha un tronco che diviene quasi una casa con numerose
gallerie interne. Celebre è il castagno dell’Etna, detto dei "Cento Cavalli", perché si narra che diede riparo sotto la sua chioma, durante un forte temporale, alla carrozza della regina Giovanna
d’Aragona con il suo seguito di cento cavalieri.